Il fine giustifica i mezzi?
Save the Children e i bambini che muoiono di fame in tv.
Già anni fa erano montate molte polemiche per lo spot di Save the Children sul bambino Jon e anche questo Natale (dicembre 2015) su tutte le televisioni è andata in onda la storia di Kayembe
I due spot hanno un “linguaggio” forte che ha generato molte critiche. Save the Children difende la propria scelta, che ormai va avanti da diversi anni. Così scrisse Giancarla Pancione, Head of Individual Donors Department presso Save the Children Italia, su Facebook rispondendo ad post (->link)
Nel 2013, lo strumento del DRTV ci ha consentito di acquisire più di 14.000 nuovi donatori regolari: anche grazie a loro i programmi di Save the Children Italia hanno raggiunto 3 milioni di bambini solo nel 2013: il 36% in più rispetto al 2012.
Ma questo giustifica i mezzi? E di che mezzi stiamo parlando?
Ho provato a sezionare lo spot sulla storia di Kayembe spezzandolo in diversi video.
parte 1 – il documentario
Lo spot parte come un documentario (come dice la voce fuori campo), ambientato nell’ospedale di Chamala in Africa Centrale (tra l’altro, non sono riuscito a trovare il posto…). Camera a mano, zoom superveloci… stile da documentario amatoriale.
parte 2 – Kayembe
Qui arriva Kayembe, prima vestita e poi spogliata per far meglio vedere lo stato della bambina e il profilo delle costole. Il dettaglio dell’omero è inquietante.
parte 3 – la visita
Poi Kayembe piange mentre la dottoressa le tiene la mano e la visita. Il medico parla in francese e, per dare maggiore veridicità documentaristica, non è doppiata ma solo sottotitolata.
parte 4 – la mano protesa
Si arriva alla call to action dove, in modo tutt’altro che amatoriale, la messa a fuoco a profondità di campo ridottissima passa dal corpo della bambina alla mano protesa, come chiedesse l’elemosina, giusto sopra il numero verde di Save the Children.
parte 5 – a cosa servono gli aiuti?
A cosa servono gli aiuti? Ovviamente a riempire di risorse questi ospedali. Volontari di Save the Children (vestiti con immacolata t-shirt con il logo) scaricano scatole bianche e rosse (i colori sociali dell’ong). Poi scorrono beni di prima necessità, bambini che mangiano e, alla fine, bambini che sorridono.
parte 6 – les enfants vont mourir
Ma giusto per non farci sorridere troppo, si torna sulla dottoressa che parla francese: “les enfants vont mourir”. E poi primissimo piano delle lacrime di Kayembe.
parte 7 – “grazie!”?
E infine la cosa che più mi ha colpito di tutto lo spot: “grazie!”.
Ecco, questo “grazie” mi è suonato ipocrita. Prima lo spot usa un linguaggio forte che chiede, con toni fortissimi, una donazione. E poi un “grazie” secco, duro. Più un rimprovero che un ringraziamento.
Questo spot, come conferma la stessa Save the Children, funziona e le donazioni arrivano. [update dicembre 2018 – lo spot è ancora in circolazione su alcune reti televisive].
Però l’obiettivo dello spot è sul bilico dell’etica pubblicitaria. Save the Children vuole emozionare e colpire, duro. Allo scopo di raccogliere donazioni. Dice sempre la Pancione:
Il disagio nel vedere certe immagini è comprensibile, ma sappiamo che suscita in chi lo guarda una reazione fattiva, il desiderio di aiutare concretamente. Lo scopo dello spot di Save the Children è rappresentare la condizione oggettiva, purtroppo reale, in cui migliaia di bambini si trovano ogni giorno, mostrando come semplici soluzioni possano radicalmente cambiarne il presente e il futuro.
Indubbiamente il lavoro di Save the Children è molto reale (e utile). Ma nello spot di reale non c’è nulla: dalla voce fuori campo, un attore impostato e severo; al tragico commento sonoro, costruito in studio; ai bambini, isolati nei momenti dove appaiono sguardi lacrimevoli, con la profondità di campo utilizzata per portare tutta l’attenzione sugli occhi, sfocando il resto. Non sono stato nell’ospedale di Chamala (peraltro non individuabile facilmente. esiste?) e certamente la situazione è drammatica ma la scelta di cosa riprendere di quella situazione e di come riprenderla, è fiction.
Ulteriore elemento critico, a mio avviso, è la personalizzazione. Si parla di due bambini ben identificati: Jon e Kayembe. Si parla di un ospedale preciso. Si vedono nei volti gli operatori. Personalizzare è una tecnica di marketing. Invece che donare soldi genericamente, è più facile raccogliere fondi per aiutare Kayembe che peraltro viene mostrata così prossima alla morte. Peccato però che nulla delle donazioni arriveranno realmente nelle mani di Jon e Kayembe. Forse non arriveranno nemmeno in Africa. Questo di per sé non è un problema: l’ong lavora in tutto il mondo per aiutare i bambini di tutto il mondo. Però sorge il dubbio che dare nomi ai bambini nello spot serva solo ad aumentare la commozione e non trovo corretto, sensibilità mia, destinare altrove i fondi raccolti. [update dicembre 2018 – a Natale 2018 gli spot sono stati ripetuti uguali. Continuare a fare rivedere Kayembe 3 anni dopo, accresce il senso di finzione di cui stiamo parlando qui]
Purtroppo i “concorrenti” di Save the Children hanno deciso di giocare la stessa battaglia con le stesse armi. Tipo Unicef.
Ed è un peccato. Pochi anni fa, “Una mano per i bambini” uscì con uno spot molto creativo, anch’esso dedicato a raccogliere fondi per i bambini svantaggiati. Questa scelta è molto più “etica” perché non fa finta di essere vera: anche se gioca sulle emozioni, lo fa attraverso una iperbole di immediata comprensione che non lascia la sensazione di essere presi in giro.
Questo post arriva dalla migrazione di un articolo su un precedente blog, pubblicato il 31 gennaio 2016. Alcuni commenti di utenti sparsi erano stati fatti. Alcuni sono stati cancellati, perché offensivi e senza contenuti. Altri, anche in disaccordo con quanto scritto nel post, li riportiamo di seguito.
Anonimo Dicembre 13, 2016 at 6:44 am
… Ma tu hai verificato personalmente ? In tutto quello che scrivi c’è una denuncia più falsa degli spot che dichiari falsi. Su cosa è fondata la tua denuncia ? Su cosa ?! Scrivi che i soldi non arriveranno mai ai veri destinatari ( i bambini ), ma se lo affermi dovresti avere anche il coraggio di dichiarare dove vanno a finire giacche’ ne sei così sicuro, e invece ? NIENTE. Solo una critica spietata costruita su una tua supposizione. Non dai alcuna prova concreta di ciò che affermi e questo è già sufficientemente indicativo. Saluti.
alessandro Dicembre 17, 2016 at 8:42 pm
Grazie del commento Anonymous. Comunque in questo articolo faccio solo vedere e critico lo spot, non l’attività di Save the Children (non ho mai detto, né ho elementi per dirlo, che i soldi non arriveranno ai veri destinatari). Il linguaggio del finto documentario è scorretto perché mira solo ad emozionare il target ed io proprio del “linguaggio”, dei “mezzi” ho voluto parlare. La finalità sarà anche buona ma porsi la domanda se un buon motivo giustifica una scorrettezza di comunicazione credo sia legittimo. Saluti e buone feste.
Dubbio Gennaio 13, 2017 at 12:07 pm
Rimane anche a me il dubbio in testa sulla domanda posta a titolo di questo articolo, e non saprei rispondermi. Mi pongo gli stessi interrogativi dell’autore, ma spero nell’operato di STC. Comunque… Per interesse geografico ho provato a cercare Chamala su internet: oltre ad una zona montuosa, che pare disabitata, nell’Uttar Pradesh (India), ve n’è un’altra, sempre in India, che dalle foto satellitari sembra proprio un centro abitato. Trattasi di un villaggio, grossomodo definibile come frazione, del tehsil (qualcosa di simile ad un comune) di Ashti, distretto di Wardha, divisione (tipo “superprovincia”) di Nagpur, nello stato del Maharashtra; per capirci quello con capitale Bombay (o Mumbai). Va comunque detto che, nonostante il livello di “censimento” raggiunto da Wikipedia, OpenStreetMaps e Google Maps, etc; resta comunque una galassia di località e piccolissimi centri incogniti alla rete, di cui gran parte in Africa. Certo, quell’”Africa Centrale” (che non è il Centrafrica) francofona è un dato molto vago, ma il toponimo è linguisticamente verosimile. Grazie per l’attenzione all’autore del blog.
Monica Febbraio 21, 2017 at 10:10 am
Ciao sono Monica guarda che esiste la città di Chamala e comunque non vedo giusto tutta questa assurda critica fanno benissimo la realtà è peggio dello spot se facessero vedere bambini paffuti e sorridenti nessuno donerebbe
cettina Luglio 26, 2017 at 8:41 am
Ma che fine ha fatto Kayembe?
alessandro Luglio 28, 2017 at 9:18 pm
Eh… gli spot con Kayembe sono ripartiti, quindi probabilmente è sempre lì 🙂 a parte gli scherzi, per me è da criticare non tanto Kayembe (o come sia chiama quella bambina) che davvero muore di fame. Piuttosto è da biasimare la strategia di STC che letteralmente “sfrutta” quelle immagini allo scopo di impietosire le platee.
Anonimo Ottobre 25, 2017 at 2:37 pm
Si ma come sta Kayembe?
Anonimo Dicembre 27, 2017 at 9:34 am
Kayembe ormai ha finito l universita’.
Anonimo Febbraio 16, 2018 at 1:52 pm
Oggi ho visto di nuovo la pubblicità di Kayembe (che é sempre lo stesso) e, chiedendomi se effettivamente dopo tutti questi anni di donazioni la bambina stava meglio…quindi sono andata a vedere sul sito di save the children dove e…sorpresa Kayembe ha sempre 2 anni.
Anonimo Marzo 12, 2018 at 3:49 pm
Vi siete mai chiesti quanti dei soldi donati vadano effettivamente ai destinatari? Sapete quanto costa montare un video? Sapete quanto costa ogni passaggio televisivo? Conoscete gli stipendi da nababbi dei dirigenti di queste ONG? Non mi riferisco a questa in particolare. Conoscete il tenore di vita di questi signori? Avete mai vissuto in Africa? Sapete che l’industria del povero e’ una delle piu’ forti economie a livello mondiale? Siete venuti a conoscenza degli scandali sessuali che hanno recentemente colpito molte note organizzazioni di beneficenza? Sono un medico Italiano nato e vissuto in Africa. Se volete aiutare i poveri in Africa andateci ed aiutateli personalmente. Non fidatevi. Aiutateli direttamente. Non date I vostri soldi a intermediari: c’e’ il grosso rischio che ai veri poveri non arrivi neanche un rivolo. Fate una colletta tra amici e affidatela a un vostro amico di fiducia che portera’ la somma sul posto e la dara’ ai veri poveri direttamente. Se non riuscite a organizzarvi piuttosto aiutate direttamente un vero povero vicino a casa vostra. Lo sapete che nel terzo mondo nascono ONG aventi l’obiettivo di succhiare soldi ai paesi occidentali? Donare senza poter controllare, e controllare a fondo e controllare I controllori, e’ molto pericoloso. Ci sono molti libri sull’argomento, ad esempio: Lords of poverty di Graham Hancock. E diffidate dei filmati lacrimevoli!
Michele Dicembre 21, 2018 at 2:07 pm
Bravissimo! Non potevi dire di meglio! La gente che si indigna del sopracitato articolo che non ha giudicato l’operato,ma lo spot stesso, fa proprio pena. Forse lavorano per Ong simili… E invece ci vuole proprio un articolo sul vero significato di questi spot: impietosire la gente e fargli credere di donare, quando i loro soldi vanno da sempre finire nel calderone, cioè l’arricchimento delle suddette società altroché ong. Dove ci sono gli stipendiati e dirigenti straricchi! Nel 2018 gente adulta ancora crede alle favole… Aiutate un vicino o un amico in seria difficoltà ad esempio, chi potrà aiuterà i bambini Africani, ma non attraverso le Ong. È più etico buttare i 9€ dalla finestra, se non altro potrebbe trovarli anche chi ne ha bisogno
Rutto d’Anatra Febbraio 28, 2019 at 7:48 pm
Bravi, continuate a regalare soldi a questi truffatori, mi raccomando.
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