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Corpo e anima

dalla Berlinale 2017

11 febbraio 2017

Solitamente andiamo al cinema, da soli o in compagnia, e guardiamo quel che passa sullo schermo. Spesso tutto si risolve in una storia, intricata o semplice, a lieto fine o drammatica, accompagnata da musiche furbe a sottolineare i sentimenti che si vuol far emergere (compassione, rabbia, tristezza…). I peggiori montano qualche ralenty qua e là o didascaliche dissolvenze incrociate. Salvo rarissime eccezioni, i film che ho visto recentemente di questo son fatti (non differentemente dalle serie TV), al cinema di città come ai grandi festival internazionali.

Poi - giusto a Berlino dovevo venire - si sbatte in qualche capolavoro di qualche grande autore e ci si accorge subito che c’è qualcosa di diverso. Le inquadrature non sono convenzionali ma storte, parziali. Le ottiche cambiano: da campi lunghissimi a stretti close-up. E si vede la luce, nel senso che c’e contrasto fra luci ed ombre. Qualcosa è illuminato. Qualcos’altro è al buio. E quando tutto questo non è casuale né meramente estetico, accade la magia del Cinema e la storia prosegue soltanto per immagini, legate insieme da un montaggio che, anch’esso, vuol dire qualcosa. E qui c’è un’altra magia: il silenzio. E in silenzio le inquadrature, la luce e il montaggio parlano. E la storia procede. Senza che ci sia bisogno di una voce fuori campo che fa lo spiegone. O di dialoghi assurdi.

La storia di “On body and soul” è quasi irrilevante (sinossi in calce) e di sicuro non ha a che fare con due emarginati sociopatici che si incontrano. “On body and soul” parla di noi. Di tutte le nostre debolezze e di tutte le nostre tragedie. Del corpo come dell’anima. Perché tutti noi abbiamo qualche fobia che ci blocca, come Mária, qualche menomazione che tutti i giorni ci butta indietro, come Endre, fino a quando non diciamo basta e tiriamo i remi in barca. Nel film è la messa in scena della Enyedi che fa la differenza. Un montaggio serratissimo e denso di significato. Inquadrature e movimenti di macchina studiatissimi e mai, mai, inutili. Questo film ci ricorda cosa è il Cinema. L’importanza dell’immagine in movimento, del sonoro, della fotografia, del montaggio.

E film così densi e complessi si esaltano nella dimensione pubblica del cinematografo. Dentro il Freidrichstadt Palast la gente ride (perché questo film fa anche ridere), inorridisce, si commuove. E alla fine, il pubblico batte le mani perché un messaggio è passato. Non so quale sia per ciascuno di queste centinaia di persone. Ci sarà chi vede la componente vegana (che pure c’è), il riscatto, la crescita, la crisi della società, la solitudine, la natura, l’amore che vince su tutto, la compassione che vince su tutto… Da una parte o dall’altra tutti gli spettatori diventano più ricchi. Perché nei film come questi si mixano silenzio e rumore, musica e parole, storie universali e analisi intime, immagine e movimento, luci ed ombre. E’ il cinema. E’ l’ultimo capolavoro di Ildiko Enyedi.


Testről és lélekről (titolo internazionale: On body and soul; titolo italiano: Corpo e anima) di Ildikó Enyedi Ungheria 2017, 116’ con Alexandra Borbély (Mária), Géza Morcsányi (Endre) scritto e diretto da Ildikó Enyedi fotografia di Máté Herbai montaggio di Károly Szalai

il film ha vinto l’Orso d’Oro alla Berlinale 2017.

dal Catalogo della 67a Berlinale > A slaughterhouse in Budapest is the setting of a strangely beautiful love story. No sooner does Mária start work as the new quality controller than the whispers begin. At lunch the young woman always chooses a table on her own in the sterile canteen where she sits in silence. She takes her job seriously and adheres strictly to the rules, deducting penalty points for every excessive ounce of fat. Hers is a world that consists of figures and data that have imprinted themselves on her memory since early childhood. Her slightly older boss Endre is also the quiet type. Tentatively, they begin to get to know each other. Recognising their spiritual kinship, they are amazed to discover that they even have the same dreams at night. Carefully, they attempt to make them come true. This story of two people discovering the realm of emotions and physical desire, at first individually and then together, is tenderly told by director Ildikó Enyedi, but in a way that also exudes subtle humour. A film about the fears and inhibitions associated with opening up to others, and about how exhilarating it can be when you finally do.

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