Don McCullin
Don McCullin si è chiesto se ha senso far vedere questo dolore. Gli hanno ucciso soldati davanti agli occhi e si è trovato faccia a faccia con bambini ormai prossimi a morire di fame. E lui scattava foto.
Rappresentare la violenza porta alla sua banalizzazione? C’è il rischio di abituarsi, di anestetizzarsi, a guardare gli scatti di Don McCullin? Lui sostiene di no: le persone che guardano queste foto se ne torneranno a casa con un obbligo con la propria coscienza. Per Don McCullin raccontare quanto in basso è caduto l’essere umano, è un modo per cercare di farlo risalire, per spingere all’azione.
Gli esseri umani, infatti, sembrano non valere più niente, almeno in certe parti del mondo. Uno degli scatti più impressionanti, preso a Cipro nel 1964, nasconde violenza e sangue e mostra solo scarpe, che escono dal nero.
Altri documenti del punto al quale siamo scesi sono presi in Congo, nel 1968, dove mercenari vari tormentano i loro prigionieri prima di ucciderli
McCullin pare appassionato dai contrasti e uno che ricorre evidente è come la guerra sconvolga la vita dei civili. Sia quando ci si trovino nel mezzo come a Londonderry,
… o quando ci si trovano per caso, e passeggiando per strada ti imbatti in un soldato a terra che prende la mira per sparare
… o quando ne prendano parte, senza neanche togliersi la cravatta,
… o quando non ci sono, perché fuggiti, lasciando indietro qualche traccia di loro
Ancora contrasti negli scatti di McCullin in mostra: i soldati (spesso improvvisati) che hanno paura sono un tema ricorrente come in questo scatto.
… ma anche la dignità delle persone che muoiono di fame
E poi c’è il dolore che provoca la guerra, con alcune foto-simbolo come questa donna cipriota consolata dal figlio.
In questo scatto c’è anche un’altra caratteristica di McCullin, lo sfondo, che spesso è denso di significato. Dietro la donna si vedono lontano, in alto a sinistra, due uomini appoggiati al muro, come se stessero osservando lo spettacolo, senza volto, come a rappresentare una società che non sa o vuole intervenire nella soluzione del conflitto. Questo effetto è accentuato in quest’altro scatto in forte controluce.
O qui
Anche in questa foto c’è un contrasto fra i piani. In primo piano il bambino che soffre, e guarda in camera. Dietro, una bambina che gioca con un neonato, apparentemente tranquilla.
Il gioco foreground/background appare anche in foto meno tragiche. Qui due bambini fanno boxe per strada con rifiuti in primo piano.
Il gioco fra piani torna anche nelle fotografie da zone ad alta tensione, esaltato ancor di più dal dettaglio e dalle figure in secondo piano fuori fuoco.
Ma non è soltanto nei territori estremi di guerra o di povertà, che si può vedere l’abisso nel quale è caduto l’uomo. Importanti reportage Don McCullin li ha fatti tra i senzatetto di Londra. Questo sleeping homeless in Spitalfield sembra morto e si confonde con il terreno, al pari dei morti che McCullin fotografò in Congo.
Ma l’uomo vive in condizioni misere spesso anche quando lavora. Don McCullin entra nell’Inghilterra industriale degli anni ’60, dove il fumo delle fabbriche esce dalle ciminiere ad opprimere i lavoratori.
E sempre da quelle parti, qualche anno più tardi, si affaccia un velo di simpatia in questa bambina che trasporta panni sporchi e riesce a ridere al fotografo nonostante il contesto degradato.
Il senso dell’arte di Don McCullin appare paradossalmente nell’unica sua foto “finta”. Alcuni soldati americani furono visti dal fotografo mentre saccheggiavano un corpo. “Quella scena mi fece star male, sentivo che quel morto meritava di avere una voce. Così, quando si furono allontanati, disposi davanti al corpo quello che era rimasto e scattai la foto”.
Don McCullin - Tate Britain - London - 2019. Per le foto, copyright Don McCullin.
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