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Festival del Cinema Ritrovato. Bologna 22-26 giugno 2019

Qualche giorno passato alla XXXIII edizione del Festival del Cinema Ritrovato di Bologna e viste alcune cose.

The Man Who Cheated Himself di Felix E. Feist, Usa 1950. Un film di genere fatto con poco budget ma sorprendente per lo sviluppo della trama, la femme fatale non banale e l’uomo/poliziotto duro e puro, anche nella sconfitta. Semplice ma bello. Magari fossero tutti così.

The War of the Worlds di Byron Haskin da H.G. Welles, Usa 1953. Effetti speciali troppo insistiti e che oggi risultano troppo datati. E un finale con un passo troppo diverso dal resto: a un certo punto, finito, con voce fuori campo che fa lo spiegone. Nessun sottotesto tipo uomini uniti contro minaccia aliena.

Becky Sharp di Rouben Mamoulian, Usa 1935. Il primo film di finzione girato a colori con uno splendido Technicolor. Becky Sharp è il nome proprio di una ragazza di povere origini che vuole scalare la società e civetta a destra e a sinistra. Visivamente molto interessante: è un campionario di colori, quasi come se i tecnici della Technicolor volessero provare l’effetto di ogni tinta sulla pellicola.

Interessante il personaggio femminile. Nel 1935 questa ragazza dal basso livello morale spadroneggia, soggiogando tutti gli uomini (e le donne) che incontra. E alla fine, risulta anche il personaggio vincente.

Paris Qui Dort di René Clair, Francia 1924. Il primo film girato da René Clair che, ritenuto troppo avveniristico, non trovò un distributore e dovette aspettare il successo del film seguente Entr’acte per arrivare nelle sale.

A Parigi si addormentano tutti, tranne che un gruppo di persone che però, dopo aver rubato il rubabile, alla fine s’annoia. Film muto, presentato con accompagnamento dal vivo di Donald Sosin, denso di spunti che dimostra la capacità innovativa di René Clair.

Esiste in due versioni: una virtata seppia del BFI (proiettata qui a Bologna, nota col titolo di The Crazy Ray) e una francese. A novembre 2019 uscirà un blu-ray con entrambe le versioni restaurate. Interessante perché sembra che le scene non siano esattamente le stesse.

Berliner Ballade di Robert A. Stemmle, Germania Ovest 1948. È un film di impatto unico, girato in una Berlino bombardata e a pezzi, che mette al centro un soldato di ritorno dal fronte, stupidotto e buffo. Il film inanella una serie di gag che però, dopo il buon avvio, diventano uguali a loro stesse e prevedibili. Forse sarà che con i tedeschi non condividiamo lo stesso sense of humor ma alla fine annoia.

Importante però per il tocco leggero nell’affrontare un tema pesante, come quello della ricostruzione

Seraa Fi Al-Wadi (Cielo Infernale) di Youssef Chahine, Egitto 1954. Che grande cosa. L’eterna battaglia fra i potenti e gli oppressi con una quantità di roba: l’amore fra il giovane squattrinato e l’istruita ragazza dell’alta borghesia; il popolo stolto che si raggira facilmente; il rapporto padre-figlia; il rapporto padre-figlio; l’onore; il sacrificio; Allah… È un melodramma ambientato nelle campagne egiziane. È un gran film.

Seguita anche la conferenza Chahine: Glamour, Musica e Rivoluzione; l’ultimo degli ottimisti arabi con Tewfik Hakem (al centro), Marianna Khoury (sinistra) e la musicologa Amal Guermazi (a destra).

Durante la conferenza, la Guermazi ha cantato un melodia.

Du Haut En Bas di Georg W. Pabst, Francia 1933 con Jean Gabin. Commedia brillante ma densa dove un giovane calciatore (Jean Gabin) fa la corte ad una ragazza. S’ambienta in un condominio come ne vedremo molti nel cinema italiano del dopoguerra, pieno di curiosi inquilini (su tutti: Michel Simon, il signor Podeletz) e di storie che si intrecciano.

Rimarchevole la figura femminile (Marie, interpretata da Janine Crispin, vera protagonista del film) che è ben consapevole del suo essere donna e della lotta di emancipazione che deve condurre. Alla fine, è lei che vince e abbandona la città per seguire la sua strada di insegnante, con l’uomo che la insegue per amore.

The Masque of the Red Death di Roger Corman, Gb-Usa 1964. Neanche tanto un b-movie. Vincent Price gigioneggia sul set, pieno di comparse ipercolorate, cattiverie varie e fenomeni da baraccone.

Iskanderija… Lih? di Youssef Chahine, Egitto 1978. Film dal montaggio matto e serrato, grazie al quale la storia o meglio, le storie si svolgono. Siamo ad Alessandria d’Egitto, nei primi anni ‘40 ai tempi della battaglia di El Alamein tra tedeschi e inglesi. E il protagonista, un ragazzo che vuole andare in America, vive la sua adolescenza. Un film non facile da seguire ma ricco di contenuti e spunti con sequenze spesso non lineari (flashback non annunciati, montaggio di filmati d’archivio, frenetico alternarsi di cannoni che sparano e personaggi che imprecano…).

Film proibito al tempo in tutto il mondo arabo: forse per il mito dell’America, o per un riferimento all’omosessualità, o per l’accennata questione palestinese dal punto di vista israeliano…

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